REFERENDUM 17 APRILE 2016

Il referendum che si tiene il prossimo 17 aprile (si vota dalle 7 alle 23), chiede di esprimersi sull’abrogazione della parte del comma 17 dell’articolo 6 del Codice dell’ambiente che dice: «Per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale».
In altre parole, ci si dovrà esprimere sull’eventuale prosecuzione delle trivellazioni fino a quando un giacimento non è esaurito. Il quesito riguarda solo la durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia marine dalla costa e non le attività sulla terraferma, né quelle in mare oltre le 12 miglia dalla costa.
Se vince il sì, le trivellazioni dovranno fermarsi allo scadere della concessione, se vince il no tutto resterà come adesso.
Per raggiungere il quorum necessario deve votare la metà degli aventi diritto al voto – chi ha raggiunto la maggiore età – più uno.
Il referendum non riguarda il divieto di effettuare nuove trivellazioni, che sono già vietate entro le 12 miglia e continueranno a essere permesse oltre questo limite anche in caso di vittoria dei sì.. Secondo gli stessi promotori, il referendum del 17 aprile è soprattutto un atto politico che serve a dare un segnale contrario all’utilizzo delle fonti di energia fossile, come il gas e il petrolio estratti dalle piattaforme offshore. In tutto le assemblee di nove regioni hanno chiesto il referendum: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise.
Gran parte delle 66 concessioni estrattive marine che ci sono oggi in Italia si trovano oltre le 12 miglia marine, che non sono coinvolte dal referendum. Il referendum riguarda soltanto 21 concessioni che invece si trovano entro questo limite: una in Veneto, due in Emilia-Romagna, uno nelle Marche, tre in Puglia, cinque in Calabria, due in Basilicata e sette in Sicilia.
Le prime concessioni che scadranno sono quelle degli impianti più vecchi, costruiti negli anni Settanta. Le leggi prevedono che le concessioni abbiano una durata iniziale di trent’anni, prorogabile una prima volta per altri dieci, una seconda volta per cinque e una terza volta per altri cinque; al termine della concessione, le aziende possono chiedere di prorogare la concessione fino all’esaurimento del giacimento.
Il gas che viene estratto dal mare italiano soddisfa meno del 10% del fabbisogno nazionale. Nessuno al momento ha calcolato quale percentuale di gas e petrolio viene prodotta entro le 12 miglia marine, né quanto sono abbondanti le riserve che si trovano in quest’area.
Il referendum non modifica la possibilità di compiere nuove trivellazioni oltre le 12 miglia e nemmeno la possibilità di cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma: e compiere nuove trivellazioni entro le 12 miglia è già vietato dalla legge. Una vittoria dei sì al referendum impedirà l’ulteriore sfruttamento degli impianti già esistenti una volta scadute le concessioni, anche se nei pozzi si trovasse ancora del gas.
Se al referendum dovessero vincere il sì, gli impianti delle 21 concessioni di cui si parla dovranno chiudere tra circa cinque-dieci anni. Gli ultimi, cioè quelli che hanno ottenuto le concessioni più recenti, dovrebbero chiudere tra circa vent’anni.
Chiudere gli impianti potrebbe però voler dire acquistare più gas o petrolio dall’estero.
Tu cosa voti?

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